“Partire … Andarsene, camminare, lasciare tutto, uscire da se stessi, Rompere quella corazza di egoismo che ci chiude in noi stessi. Partire senza paura … “(Dom Helder Camara)

Quando si sorvola l’Amazzonia, le persone che arrivano, soprattutto un/a missionario/a, pieni di curiosità e aspettative, non possono immaginare cosa troveranno in quella giungla, attraversata da molti grandi fiumi. Loro quindi si sono informati hanno fatto delle ricerche o hanno letto, ma non possono immaginare la complessità della vita in quell’immenso territorio con diverse “Amazzonie”, data la grande diversità. Man mano che si addentrano in quella biodiversità, vivendo la realtà, con la natura, con gli abitanti, con i loro costumi e la loro cultura, gradualmente arrivano a conoscere gli eventi di quel mondo con un passato e un presente avvolti da avventure, storie, miti e leggende. È noto che l’Amazzonia è ancora come “un enigma che deve essere decifrato”. Pertanto, questa realtà non può essere affrontata con una visione semplicistica, folcloristica, stereotipata o esotica, o vista come una cultura arretrata, o come un’immensa fabbrica di risorse idriche e minerali per il mondo.

L’Amazzonia è sempre impegnativa, a causa delle sue grandi distanze geografiche dove la sua popolazione è diffusa, con precari mezzi di trasporto, comunicazione e cure di base, rendendo qualsiasi azione verso essa difficile.

Sotto l’aspetto religioso, oltre alle credenze dei popoli tradizionali, è presente la Chiesa cattolica, così come molte denominazioni evangeliche pentecostali, che sono in continua crescita. Il cattolicesimo fu il primo a raggiungere queste terre, con i suoi missionari, dal diciassettesimo secolo, creando città ed abitati sulle rive dei fiumi. Lasciando la loro patria, molti missionari sono entrati attraverso i fiumi e la giungla, con uno spirito missionario segnato dal senso della donazione e della dedizione della propria vita agli altri. Ma, dal progetto evangelizzatore del tempo, il rigore  dottrinale e la pratica sacramentale predominante stabilirono un dualismo tra ciò che veniva proposto e ciò che le persone vivevano. Il cattolicesimo emerso da quel rapporto “si esercita senza la presenza del clero”, senza la necessità della mediazione del sacerdote e con la guida dei laici. Con i principali progetti governativi, negli anni ’70, vedendo la crescita economica e l’integrazione dell’Amazzonia con il resto del paese, ci fu un processo migratorio nel resto del paese e un grande afflusso di persone provenienti da altre regioni dal paese verso l’Amazzonia. La conseguenza di ciò cominciò a chiamarsi “Urbanizzazione della povertà”. In questo processo di sviluppo, la città centenaria di Tefé ha conosciuto una crescita che l’ha fatta espandere, creando nuovi quartieri e sovrappopolando quelli più antichi. Uno di questi quartieri, caratteristico e vicino al centro della città, è il quartiere Abial densamente popolato, dove si trova la nostra Missione Internazionale. Situato su di una piccola altura vicino al lago di Tefé e attraversato dal piccolo fiume Xidarini; In caso di pioggia, vi si può accedere con piccole imbarcazioni a motore (“rabeta o catraie”) che trasportano fino a 8 persone. Quando si sbarca, il panorama che si ha immediatamente, è di forte impatto. Come in altre parti dell’Amazzonia, il processo di urbanizzazione non ha tenuto il passo con l’aumento della popolazione. Le strade, che sono asfaltate, sono in cattive condizioni, causando l’esposizione del sistema fognario. Le case, ben collegate tra loro, non offrono spazio per la privacy e condizioni igieniche adeguate, dando talvolta spazio alla promiscuità. Ci sono tre scuole, una municipale e due statali, tutte sono ben conservate e lì, molti studenti godono del comfort necessario allo studio e allo sport. In ogni caso, la ricerca della sopravvivenza porta i giovani ad avvicinarsi ai mezzi più facili, immediati e illeciti per guadagnarsi da vivere, generando un circolo vizioso in cui la violenza è presente. Visitare l’Amazzonia, e specialmente l’area della foresta Amazzonica, significa conoscere una terra marcatamente indigena, lo stesso succede anche ad Abial. Le persone, nella loro maggioranza, mostrano con le loro caratteristiche fisiche, la bellezza e i segni dei loro antenati indigeni. Allo stesso modo nelle loro abitudini, nel modo di costruire le case – specialmente in legno e su dei pali (palafitte) – nelle loro abitudini, nel loro cibo, nelle manifestazioni religiose e nei loro modi di convivere. La parrocchia di Abial, fondata dieci anni fa, è composta da quattro comunità: la chiesa madre, con un ampio spazio per le sue attività; le altre tre comunità si trovano a pochi passi dalla chiesa madre: una nella parte alta del quartiere – Comunità di Cristo Re – un’altra, in una colonia di pescatori – Comunità Cristo Redentor – e la terza, di recente edificazione – Comunità di San Vincenzo de Pauli – frutto della recente presenza vincenziana. La vitalità di queste comunità è sorprendente, per il grado di partecipazione del piccolo gruppo di persone che le frequentano, vitalità dimostrata nella preparazione e nella realizzazione delle celebrazioni, nella catechesi e nella responsabilità di mantenere e preservare la comunità. C’è stato un grande sforzo per fornire alla parrocchia una buona dotazione materiale, frutto del lavoro comunitario che ha fatto crescere il senso di appartenenza. Dopo otto mesi di vita nel quartiere di Abial, tenendo conto di questa realtà, è stato importante pensare a come servirlo pastoralmente, tenendo conto della sua storia, cultura, identità e delle manifestazioni dei suoi abitanti. È importante tenere a mente le parole dell’allora Cardinale Jorge Bergoglio, prima di essere il Papa della “Chiesa missionaria e incidentata”, che ci ha ricordato che è importante “uno sguardo trascendente della fede” per osservare o comprendere chi c’è dietro un realtà come quella. È lo sguardo impegnato nelle situazioni delle persone concrete, nella loro storia, nella loro cultura, nella loro identità e religione. La nostra presenza in quelle terre come Congregazione della Missione, richiederà a noi l’uso di tutti i mezzi per disarmare le nostre paure e non creare in noi un senso di impotenza pastorale: la maturità umana e della fede, nelle quali l’umiltà ci aiuta a voler imparare, la pazienza nel camminare con le persone e le comunità e il rispetto in quel viaggio permetteranno un dialogo importante e fecondo per la proclamazione del Regno, un ideale appropriato per la regione, in accordo con la Commissione episcopale per l’Amazzonia del CNBB.

Di P. Paulo Venuto, CM