Una delle grandi problematiche del mondo attuale è la migrazione, a volte pensiamo che questo fenomeno, avviene solo nei paesi dell’Europa o Stati Uniti. Come stanno vivendo questa situazione i paesi dell’America Latina? Il padre Alejandro Febres, Cm ci condivide la sua riflessione in Provincia del Cile.

Una settimana e mezzo fa circa, furono espulsi dal Cile 51 colombiani. Tutti loro, secondo quanto segnalato dai notiziari avevano precedenti penali, erano legati al narcotraffico, e stavano scontando pene. Furono riportati al loro paese, col l’impegno di non ritornare mai più nel nostro paese.

La maggior parte della gente, secondo alcune inchieste, approvò la misura. Ma rimasi con un sapore amaro. Non perché, come possono pensare alcuni, proteggo il narcotraffico o la delinquenza, bensì perché credo che attualmente, a partire da quello che la stampa ha continuato a diffondere, senza maggiori fonti reali, stiamo criminalizzando certi gruppi sociali, specialmente gli emigranti.

Ma non qualunque migrante, no, bensì i migranti che sono poveri. Cioè, ci disturbano i migranti poveri, specialmente se questi hanno tratti indigeni, afroamericani, e più ancora se parlano o hanno una cultura, molto differente alla nostra.

La filosofa spagnola Adela Cortina creò non più di dieci anni fa un neologismo, una parola nuova, per definire quello che i cileni stanno vivendo. Aporofobia.

La aporofobia è l’odio (fobia) dei poveri (aporos). La maggioranza della gente dirà che non è così, che quelli che furono espulsi erano delinquente che venivano a danneggiare i cileni che erano parassiti, etc.

Tuttavia, non esprimiamo niente dei consorzi stranieri che si sono impadroniti dell’acqua, del litio, delle nostre reti di comunicazioni (telefonia il Cile ha la telefonia più cara di tutta l’America latina, strade, mezzi di comunicazione), no, essi vengono ad investire. Ma l’investimento è triplicato nei guadagni che stanno portando fuori. Ma siccome sono biondi, di occhi azzurri, parlano bene, abbiamo avuto sempre un debole per le lingue straniere, specialmente l’inglese, francese, tedesco, yugoslavo etc., vengono a migliorare la popolazione.

Mi è capitato di ascoltare in questi giorni che le malattie come la tubercolosi, la difterite, la rubiola, sono aumentate e si sono triplicate. Che l’AIDS si è diffusa e si è trasformata in un problema epidemiologico perché gli haitiani l’hanno portato, perché tutti vengono infettati. Nessuno mi ha fatto arrivare prove obiettive, grafici, o studi seri. Ma il Ministero di Salute l’ha reso noto dove? non si sa ancora. L’AIDS è aumentata perché non si sono continue politiche che mirino all’educazione sessuale chiara diretta ad adolescenti e giovani, ma non perché siano arrivati più o meno migranti.

I peruviani, li abbiamo lasciati tranquilli perché la loro migrazione si sta stanziando già nella nostra patria (da più di venti anni). Molti di loro hanno trovato il loro angolo nell’ambito gastronomico e quello ha permesso di migliorare la loro situazione. Hanno già figli nel nostro paese, stanno investendo e pagando tasse, quello che fa di loro soggetti di diritto. Già si stanno assimilando alla società cilena, la stessa cosa avvenne nel secolo scorso con la comunità palestinese. È parte dei processi di sedimentazione sociale che si vivono sempre.

Ora abbiamo i venezuelani chi sono arrivati cercando soprattutto migliori possibilità economiche, i colombiani, che sono arrivati, alcuni persino cercando il requisito di rifugiato prodotta dalla violenza istituzionalizzata che esiste in Colombia; ecuadoriani, specialmente di origine otabaleños, etnia che si dedica principalmente al commercio ed i nostri buoni haitiani che sono arrivati scappando da una realtà di miseria profonda della quale tutti sappiamo attraverso le notizie e che qui in qualcosa è migliorato.

Tuttavia abbiamo continuato a criminalizzare molti di essi: Le colombiane e colombiani, vengono a prostituirsi ed a trafficare con la droga, gli haitiani vivono come animali non parlano castigliano, e vivono quasi della mendicità, gli ecuadoriani si dedicano solo al commercio ambulante, i venezuelani ci rubano il lavoro.

Alcuni comuni stanno penalizzando il lavoro di ambulante perché fanno parte di reti che compromettono il commercio stabile. La mia domanda è: quelle reti le manipolano stranieri o cileni? perché dobbiamo punire i venditori e non andiamo a quelli che li sostengono? Se i colombiani si prostituiscono o vivono del narcotraffico, perché non presentiamo politiche che mirino a sviluppare le possibilità di inclusione sociale come fecero con noi in Svezia, Norvegia o Finlandia quando dovemmo noi uscire in esilio. La stessa cosa con gli haitiani. E se i venezuelani vengono a rubarci il lavoro, sarà che soddisfanno meglio, sono più attenti, più preoccupati dell’interesse del cliente, o sono più preoccupati della presentazione individuale dei cileni.

I poveri ci complicano perché dobbiamo condividere con essi le risorse che spesso si pensa siano solo per i cileni, come avviene coi buoni che lo Stato concede.

Tutto quello che ho segnalato l’ho ascoltato da persone, alcuni cattolici di Chiesa che cercano di giustificare la loro fobia per i migranti mascherandola con una presunta carità cristiana, io lo dico per “il bene suo”, “nel suo paese starebbero meglio”, “dobbiamo preoccuparci prima per i nostri poveri”. ci dimentichiamo che essere cristiani ci porta a proteggere l’orfano, la vedova e lo straniero, e che una delle frasi del vangelo ci dice che “ero forestiero e mi hai accolto”. E per quelli che non sono cristiani l’accogliere il migrante ci fa essere uno con l’altro. Riconoscere nell’altro un essere umano.

Non ci lasciamo trasportare da tutto quello che dice la stampa, non crediamo tutto quello che appare in internet e nelle reti sociali. I migranti, siano poveri o ricchi, non sono migliori né peggiori die noi, sono uguali a noi. La loro formazione professionale, lavorativa, sociale, è simile alla nostra. Non ci danneggiano socialmente, al contrario, la migrazione è sempre un sedimento per la nostra società, ci fa essere più tolleranti coi nostri propri difetti, ci completa nelle nostre differenza. Non continuiamo a coltivare la xenofobia e l’aporofobia. Diamo una possibilità alla differenza culturale.

Alejandro Fabres, CM