Fratello Martin Schneider, C.M. e i suoi 46 anni all’Università del Niagara

Oggi giorno, in tutto il mondo, vi sono molti giovani che aspirano a essere dei Vincenziani, alcuni di essi chiedono di diventare Confratelli Vincenziani. Però a volte non sanno qual è veramente la vocazione di un Fratello o il compito di un Fratello nella Chiesa e in particolare nella Congregazione della Missione. Per offrire alla generazione meno giovane l’opportunità di conoscere che cos’è la vocazione vincenziana e che cosa comporta, il Confratello Martin Schneider, C.M. ha acconsentito gentilmente a questa intervista, nella quale ci parla della sua vita, della sua vocazione, del servizio e del suo pensiero su come promuovere una cultura vocazionale.

Martial Tatchim: Fratel Martin, potrebbe presentarsi brevemente?

Martin Schneider:Sono originario di Brooklyn, New York e il minore di due fratelli. Mia sorella maggiore, sposata con figli, vive in Florida. Sono cresciuto a Brooklyn, dove ho frequentato la scuola primaria e secondaria. Dopo il Diploma di Scuola Secondaria, ho lavorato per un anno, prima di entrare nei Vincenziani. Fu in quel periodo che la mia famiglia si trasferì in Florida dove attualmente vive da più di cinquant’anni.

MT: Come ha conosciuto la Congregazione della Missione?

MS: Ho conosciuto la Congregazione tramite alcuni amici che avevano partecipato alla Preparatoria di St. John a Brooklyn. Così sono arrivato a conoscere i Missionari vincenziani. In altre occasioni, alcuni Missionari venivano nella nostra parrocchia a Brooklyn per celebrare una Novena. Ho conosciuto i Vincenziani in età matura.

MT:Che cosa ti ha fatto entrare nella Congregazione della Missione?

MS: Dove vivevamo a Brooklyn, un nostro vicino aveva un parente Irlandese che era Fratello Cristiano. Io trovavo sempre il tempo per parlare con lui durante le sue visite. Se devo precisare un momento nel tempo in cui il “seme” della mia vocazione è stato seminato” fu proprio quello. E così cominciai a conoscere diversi ordini religiosi che avevano Fratelli: i Fratelli Francescani, Fratelli Cristiani, Vincenziani, Oblati, Fratelli della Misericordia. Fra tutte le informazioni ricevute, i Vincenziani mi impressionarono di più. Una delle cose che mi attirò di più fu l’opera di S.Vincenzo e volevo saperne di più. Dopo un po’ di tempo decisi di chiedere l’ammissione tra i Missionari vincenziani.

MT: Lei sa che nella Congregazione della Missione abbiamo fratelli e Padri, Perché ha scelto di essere fratello? Può dirci qualcosa di più a proposito di questo?

MS: Ebbi la profonda convinzione che Dio mi stava chiamando ad essere Vincenziano come Fratello. E la mia fede profonda mi diceva che quel che avrei fatto con la mia vita, come Fratello Vincenziano, sarebbe stato molto soddisfacente e gratificante.

MT: Quali sono i servizi in cui ha servito la Congregazione della Missione? Dopo la tua formazione ha i iniziato con l’insegnamento o ai fatto altre cose?

MS: Dopo aver terminato il noviziato, fui mandato al Seminario “Nostra Signora degli Angeli” ad Albany, NY. Era un Seminario Maggiore inter-Diocesano diretto dai Vincenziani. Sono stato lì per circa dieci anni come assistente Bibliotecario e ho insegnato educazione religiosa in una delle nostre Parrocchie ad Albany. Quando il Seminario fu chiuso mi destinarono all’Università del Niagara dove sono da quarantasei anni. Quindi è da cinquantasei anni che sono nella Congregazione della Missione.

MT: Può raccontarci qualcosa sul suo attuale servizio qui in Niagara come professore?

MS: Poiché Niagara era una istituzione educativa il mio desiderio era di far parte del corpo docenti, nell’insegnamento dell’Università. All’inizio fui designato al Dipartimento di Teatro  come assistente del Direttore. Finalmente, dopo vari anni di lavoro amministrativo, decisi che la mia chiamata era quella di essere in aula. Essere professore universitario era una cosa buona, però come Vincenziano e come Fratello, poteva essere anche un’opportunità per suscitare nuove vocazioni. Inoltre, mi dicevo, gli studenti si renderebbero conto che noi, Missionari Vincenziani non siamo solo una comunità di Preti, ma anche di Fratelli. Dopo aver insegnato, sono stato direttore delle attività studentesche per quasi cinque anni, il che mi permise di operare maggiormente come Vincenziano con tutti gli studenti. Attualmente sono ritornato all’insegnamento come professore di arte oratoria e nuovamente gli studenti hanno la possibilità di vedere e conoscere un Vincenziano. Oltre ai miei impegni di docente, da trentasei anni coordino alcune attività accademiche dell’Università, come i colloqui e le graduatorie.

MT: Constatiamoche nella CM, vi è una diminuzione significativa del numero dei missionari chierici e laici. Secondo lei da cosa dipende questo stato di cose?

MS: L’epoca che stiamo vivendo è molto diversa da trent’anni. L’attrazione che avevamo si è perduta. Gli uomini e le donne giovani non si sentono più attratti da noi. I voti che facciamo, sono difficili da accettare per giovani. Questo è uno dei motivi per cui le vocazioni sono poche.

MT: Come risposta a questo che cosa può fare la Chiesa o la Congregazione della Missione per risolvere questo problema?

MS: Ciò che dovremmo fare è quello che stiamo cercando di fare in Niagara: essere presenti in aula tutti i giorni. Noi, come Vincenziani, dovremmo stare nelle aule di più, possibilmente. Insegnare sempre più discipline, se fosse possibile. La presenza è il punto chiave. Se siamo più vicini a loro, saranno attratti dalla nostra presenza. Dobbiamo essere più vicini agli studenti, socializzare di più con loro, specialmente ora che siamo molto pochi.

MT: Crede che ci sia altro da cambiare o rinnovare nelle nostre strategie?

MS: Effettivamente, credo che dobbiamo cambiare alcune delle cose. Dobbiamo renderci conto di ciò che sta succedendo nella società, specialmente delle cose di cui si occupano e si preoccupano i giovani oggi, essere presenti nei loro ambienti, avvicinarci di più a loro, saper stare con la gente, andare incontro a loro. Essi potrebbero, eventualmente, mostrarsi ostili rifiutando di parlarci, ma la nostra semplice presenza può essere consolatrice o suscitare interesse. Dobbiamo essere aperti e non apparire come una comunità chiusa. Possiamo invitarli spesso nelle nostre case perché possano scoprire il nostro modo di vivere, vedere come noi viviamo e come preghiamo. Tutto ciò potrebbe essere un punto di attrazione.

Intervista   realizzata  da  Martial TATCHIM, CM
New York, Università di  Niagara