L’anno 1975 è stato proclamato e celebrato come Anno Santo da Papa Paolo VI. Lo chiamarono “Anno Santo del rinnovamento e della riconciliazione”. Nell’ambito di questo Giubileo, il nostro fratello Abuna Jacob Mariam, noto cosìtra gli etiopi e gli eritrei, mentre da noi come San Giustino deJacobis, è stato elevato agli altari.
Egli èun modello eccezionale di santità e di vita missionaria, una luce per noi suoi fratelli in comunità, un modelloper laChiesa missionaria e un paradigma per coloro che sono e saranno pastori oggi e domani soprattutto in campo episcopale.
La sua personalità e la sua santità sono di traboccante ricchezza, e ci danno argomenti per molte pagine di lettura, riflessione e preghiera. Traccerò poche righe che ci condurranno ad approfondire questi aspetti, e a continuare a scavare nella ricca miniera della sua vita.
1. Un Santo profondamente umano: “Gratiam non tollit naturam, sed perficit et supplet defectum naturae” “La grazia non sopprime la natura, ma perfeziona e sostituisce i difetti della natura”. San Tommaso d’Aquino. I p.9.2. art. 2 e 1.
Sì, il nostro Santo fuun uomo molto umano, la sua tenerezza era impressionante, le sue omelie erano piene di compassione, nelle pagine del suo diario si riferisce a sua madre che lo accompagnava dal cielo ad esempio quando trascorse il Natale del 1839 quasi da solo. Racconta il suo dolore per essere rimasto solo nella sua missione ad Adwa, quando i suoi confratelli partirono per altri centri di missione.
Il nostro Santo non era un misantropo, era prima di tutto amico dei suoi fratelli della Comunità, dei suoi fedeli cattolici per la sua vicinanza, e anche oltre, spingendosi nel cuore degli ortodossi e dei protestanti. Tanto che appare straordinario che oggi sia gli uni che gli altri continuino ad arrivare sulla sua tomba dopo il suo peregrinare terreno. Poiché era così umano, congiunse fortemente nel proprio cuore il legame di Dio e dei poveri.
2. Un Santo con un profondo senso di appartenenza alla CM.La vita di questo apostolo all’interno della Congregazione non fu un giardino di rose: quanto lo fecero soffrire i suoi fratelli missionari, come padre Sapeto, più avventuriero che missionario, Monsignor Montuori suo Vescovo ausiliare e poi suo successore, che fu una croce pesante e un ostacolo nel cammino missionario, e cosa possiamo dire del Superiore Generale P. Ettiene che invece di essere di supporto nel suo lavoro missionario, lo espulse quasi dalla Congregazione. Ma non saremmo onesti, se non riconoscessimo che ci furono anche molti altri fratelli disponibili ad asciugargli via le lacrime e a diventare il suo bastone nei momenti di lotta, e balsamo per guarire le sue ferite apostoliche come il postulante Abba Ghebra Miguel.
Nella nostra missione oggi, anche in mezzo a tanti media di vario genere, quanto possiamo essere “fragili”, quanto facilmente e dolorosamente vediamo partire alcuni fratelli che hanno iniziato il cammino vincenziano con noi, ma che preferiscono campi diversi da quelli a cui il Signore li aveva chiamati. Tuttavia, riconosciamo che viviamo in famiglia e la vicinanza dei fratelli, sia per chi esce che per chi di noi continua nell’ambito vincenziano, la Congregazione della Missione è un albero florido con molta ombra per tutti. Un dono che dobbiamo chiedere al Signore e di cui abbiamo bisogno, è il dono della “resilienza” che De Jacobis ha vissuto profondamente.
3. Un santo a cui Maria ha indicato la via: Quando Propaganda Fide e la Congregazione lo mandarono ad evangelizzare l’Abissinia, il nostro confratello chiese il permesso di passare in Rue du Bac, dove 9 anni prima Maria, la Madre della Congregazione, aveva dato a Suor Labourè l’incommensurabile tesoro della MEDAGLIA MIRACOLOSA.
E la Madonna, quando lui arrivò sulle rive della sua missione, era già arrivata per prima e con le braccia spalancate gli sussurrò all’orecchio molti segreti, gli mostrò la via dei poveri, fu sua guida e compagna, e gli aprì le porte delle capanne dei poveri ma soprattutto aprì a suo Figlio le porte del suo cuore affinché vi entrasse.E alla fine, accanto alla testata di pietra e sotto un albero che lo ospitava, dopo 20 anni di vita missionaria, e “dopo questo esilio mostrò a Gesù il frutto benedetto del suo grembo”.
Un missionario di oggi e di domani, nel suo zaino missionario, deve portarela Bibbia, il Crocifisso, il Rosario, le Costituzioni, e prima del telefono cellulare e del computer, molte, ma molte medaglie della Madre (Miracolosa)….È lei, che ieri come oggici aprele vie missionarie.
Marlio Nasayó, c.m.
Provincia di Colombia
Chinauta, Fusagasugá, 24 luglio 2019