Mie sorelle, miei fratelli in Cristo Servitore,

Una donna dell’alta borghesia, dopo un’infanzia turbolenta, è diventata patrona di tutti gli assistenti sociali cristiani. È la strada percorsa tra il 1591 e il 1960 (sì, intendo proprio 1960) da Santa Luisa de Marillac, il cui nome è indissociabile da quello di San Vincenzo de Paoli. Monsieur (Vincenzo) e Mademoiselle (Luisa) hanno operato insieme per rendere feconda la carità di Dio. Così come siamo, radunati in piccolo numero dal punto di vista fisico, ma numerosi dal punto di vista del cuore, in questo 9 maggio 2020, non abbiamo nulla di nuovo da imparare del loro percorso, tanto spesso esso ci è stato evocato. Ci basta un semplice richiamo: senza una madre conosciuta, posta sotto la prestigiosa tutela del guardasigilli, collocata presso le domenicane de Poissy, avviata a diventare cappuccina, sposa di Antoine Le Gras, madre del piccolo Michele, il figlio che le ha dato tante preoccupazioni, vedova prematura, immersa in una notte di fede, visitata dallo Spirito di Pentecoste nel 1623, incontra malvolentieri Vincenzo de Paoli e opera una vera conversione. Infine, uscita da se stessa, si lascia invadere grazie alla visita delle Confraternite della Carità. Diventa fondatrice, recluta, organizza, governa, si consacra a Dio e si dona senza risparmiarsi fino al 15 marzo 1660. Da un punto di vista umano, questa è una vita inaspettata, i cui fili si riempiono fino all’estremo.

Ma vi è un altro angolo prospettico. Guardando sfilare i 69 anni della sua composita vita, come non scoprire in filigrana il cammino del Figlio di Dio: dall’alto in basso, dalla generazione dall’alto a colui che nasce dal basso, da uno stato superiore al suo annientamento in un luogo che diventa il suo rovescio. Senza saperlo, la nostra santa ha intrapreso questa strada e la riscopriamo come una chiamata indirizzata ad ognuno di noi:

«Il Cristo Gesù,
pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome…»
(Fil. 2, 6-9)

È molto chiaro:

‘Questa donna di alto rango non si fossilizza in questo stato,
Prostrata dagli eventi,
Volentieri si fa serva allo stesso modo della gente comune
Senza mai tornare indietro,
Obbedendo a coloro che diventeranno i suoi Maestri di vita
Fino alla sua vita donata e ricca d’amore.’

Riassume tutto con i voti che emette, il 25 marzo 1643, consacrandosi a Dio, oltre ai tre tradizionali Consigli evangelici, con il dono totale, rinnovato ogni anno, del servizio ai poveri. Cosa chiederle questa mattina per i nostri Maestri i Poveri, il cui numero è purtroppo aumentato in questi ultimi tempi per i funesti avvenimenti vissuti? Per amare la Chiesa che lei stessa ha amato, vi invito ad intensificare la preghiera che essa rivolge a Dio in questo giorno, anniversario della sua beatificazione per opera di Benedetto XV nel 1920, per la sua compagnia in lutto e per noi.  Con la nostra famiglia vincenziana e soprattutto uniti alle nostre due congregazioni in festa, chiediamole, care sorelle e cari fratelli,

«di riconoscere e venerare il Cristo nei poveri»

La tradizione evangelica e vincenziana ce lo insegna: è Gesù stesso che si nasconde in questo fratello o in questa sorella che mancano dell’essenziale. Luisa un giorno ha scritto: «I poveri malati sono le membra di Gesù Cristo (1644, Scritti 112) e si presentò così: «serva di Gesù Cristo e delle sue membra, i poveri» (E. 408). Non ho dubbi sul fatto che voi li abbiate venerati, provando un profondo attaccamento e rispetto per ogni anima incontrata, facendo di essa un’immagine, un’icona del tutto divina. O Santa Luisa, procuraci la grazia di questo riflesso vincenziano: giro la medaglia e vado da un viso all’altro.

  • Preghiamo anche «di vedere come fratelli, coloro che sono nell’afflizione e nel bisogno». Poiché occorre tempo, bontà, pazienza, educazione personale, per costruire un tale sentimento familiare. Sentiamo Gesù che ci incoraggia: «Beati coloro che piangono! Saranno consolati!» (Mt 5,5). Non si tratta di reagire e provocare risate e sorrisi per creare un clima familiare, ma dobbiamo portare il fardello degli altri, prestare attenzione al loro stato del momento condividendo le loro sofferenze nascoste o esteriori al limite del sopportabile. Una spiritualità sana accetta che la spada del dolore colpisca il proprio cuore come per alleggerire quello dell’altro. Abbiamo recentemente imparato ad osservare, per imitarlo, il modo di Simone di Cirene. Nella famiglia spirituale che formiamo, vorremmo vivere oggi le consegne dateci da San Vincenzo: «Che cosa farete quando sopporterete i vostri fratelli? Compirete la legge di Gesù Cristo…Porto tutti gli uomini nel mio cuore, li sostengo con la tua virtù; dammi la grazia di entrarci, infiammami con il tuo amore» (XII, 270)
  • Infine chiediamo alla Chiesa «di servire i poveri con rispetto e amore». Servire è la parola d’ordine della nostra vita. Nessuno serve mai bene e abbastanza… Servire è donarsi. E non è scontato il rispetto, ma se facciamo dei poveri i nostri padroni, come non aderire alle istruzioni di Santa Luisa che chiede di «rispettarli fortemente» (Scritti 319), «vedendo sempre Dio in loro» (Scritti 420).

E quando mettiamo il lievito dell’amore al centro del nostro impegno, siamo con Santa Luisa sulla strada giusta, il sentiero della santità ricevuta e trasmessa… Amen. 

9 maggio 2020
S. Luisa de Marillac
Le Berceau –
J-P Renouard- renoird@orange.fr