Padre Giuseppe Alloatti, santo missionario per la Chiesa d’Oriente
Il 27 marzo 1933, padre Giuseppe Alloatti CM, missionario tra i bulgari di rito bizantino-slavo nell’attuale Bulgaria e Macedonia, moriva nella Casa della Pace di Chieri, ove si trovava per curarsi. Aveva 76 anni. E’ morto completamente cieco e sordo, sfinito dalla fatica missionaria, come se questa condizione lo avesse preparato al distacco da tutto per essere esclusivamente di quel Cristo, che aveva amato in modo particolare vivente nell’Eucaristia.
La famiglia
La sua famiglia abitava a Villastellone, alle porte di Torino, ed era profondamente cristiana. Il padre, Pietro, nel 1856 sposò Caterina Chicco, da cui nacquero, tra il 1857 e il 1868, sei figli, di cui il maggiore era proprio Giuseppe, nato il 20 luglio 1857. Di due anni più giovane di Giuseppe era Eurosia, la sorella che lo seguirà nella missione in Bulgaria e sarà la cofondatrice della Suore Eucaristine. Il terzogenito, Melchiorre, entrò anch’egli nella Congregazione della Missione. Anche Cristina, la quartogenita, si consacrò a Dio tra le Suore Sacramentine. Queste vocazioni di consacrazione lasciano vedere la profonda pietà che regnava tra le mura domestiche di Caterina e Pietro.
Giuseppe fin dalla nascita fu messo alla prova. Il parto fu difficile e l’ostetrica fu maldestra nell’uso degli strumenti, danneggiandone gravemente l’occhio sinistro. Una volta concluse le scuole primarie, Giuseppe intraprese il ginnasio, ma nel 1872 l’aggravarsi del dolore all’occhio malato, lo costrinse ad abbandonare gli studi. Allora il nonno lo prese al lavoro nella sua frabbrica di stoffe. Vi lavorò due anni, ma la sua inquietudine giovanile non lo lasciava in pace. Desiderava riprendere gli studi con lo scopo di diventare sacerdote. Ma come fare per superare lo scoglio della menomazione all’occhio?
La consacrazione a Dio come missionario
All’epoca si parlava molto delle guarigioni miracolose che avvenivano a Lourdes. Si procurò una bottiglietta di acqua della grotta di Massabielle e iniziò una novena alla Vergine. Ogni giorno si lavava l’occhio con quell’acqua. Verso la fine della novena, il 23 giugno 1873, gli parve che qualcosa fosse accaduto nell’occhio malato. Si tappò l’occhio buono e, con sorpresa, s’accorse che aveva acquistato la vista dall’occhio malato. L’evento miracoloso gli aprì le porte al suo desiderio e nell’autunno dell’anno successivo, il 1874, a 17 anni, entrava nel Collegio di Scarnafigi, in provincia di Cuneo. In tre anni di permanenza maturò il desiderio di diventare missionario per conquistare le anime a Dio: lo affascinava in particolare la Cina. Il 27 settembre 1877, a vent’anni, entrò nella Congregazione della Missione iniziando il Seminario Interno nella Casa della Pace a Chieri. Qui approfondì il suo legame con Cristo con un motto semplice e preciso: “Amare, patire e fare tutto per Iddio, è il solo mio volere: è il mio desìo!”. Due anni dopo, il 29 ottobre, 1879, vi emette i voti e dopo quattro anni di teologia il 24 settembre 1882 viene ordinato presbitero. Ai primi di ottobre, il padre generale, padre Antonio Fiat, lo chiama a Parigi e gli dà la destinazione missionaria, che non sarà l’estremo-Oriente, ma il medio-Oriente, e precisamente Tessalonica, capitale della Macedonia. Tornato a Torino, ricevette la benedizione di sua madre, inchiodata al letto, e il 19 ottobre partì per Tessalonica. Vi arrivò il 30 ottobre con un bagaglio leggerissimo, formato da qualche vestito e tre libri: il Breviario, l’Imitazione di Cristo e la Divina Commedia di Dante.
In Macedonia, tra la popolazione bulgara
All’epoca la regione della Macedonia, antica terra del nord della Grecia classica, era contesa tra varie etnie (bulgara, serba e greca) e per molti secoli fu sotto la dominazione turca degli Ottomani. In particolare la regione intorno a Tessalonica era un territorio che per la vicinanza geografica guardava alla Bulgaria. In ogni caso la regione era multiculturale di matrice slava con una presenza numerosa di bulgari e, dal punto di vista religioso, vi dominava il rito greco-orientale.
Padre Alloatti subito comprese che, per fare del bene alla popolazione bulgara e per superare le diffidenze che i preti di rito latino suscitavano, aveva bisogno di immedesimarsi con essa. A tale scopo, appena arrivato, si mise allo studio della lingua bulgara e ad apprendere lo slavo antico per celebrare in rito bizantino-slavo la Divina Liturgia. Imparò così a fondo la lingua bulgara che gli diventò familiare come la lingua materna.
Impratichitosi della Liturgia e della lingua per una quindicina di anni percorse molti villaggi della Macedonia con le sue tournées missionarie. Viaggiava a dorso di cavallo. E si adattava all’estrema povertà della popolazione. Era ospitato dalla gente e viveva come loro. Non avevano letti e lui si coricava su di una stuoia nella stessa stanza dei famigliari compresi molte volte asini e buoi, né vi erano tavoli e sedie e mangiava adagiato su un cuscino e nello stesso piatto della famiglia che lo ospitava. Conformandosi poi al rito orientale in cui circa 180 giorni all’anno erano di digiuno severo, durante i quali non si poteva mangiare né carne, né latticini, né uova, e nemmeno pesce o olio di oliva, praticava una vita di estrema austerità. Questo stile di vita gli dovette costar molto all’inizio provenendo da una famiglia di un certo livello sociale, ma vi si sottomise senza mostrarne il peso e adattandosi lietamente per conquistare al Vangelo questa gente. Questo tirocinio di immersione nel popolo bulgaro gli fece constatare l’abbandono religioso delle chiese. Scrive al Padre Generale: “Non sono, ahimé, delle chiese, ma delle stalle di Betlemme …”. E ciò che maggiormente lo colpisce è la trascuratezza del SS. Sacramento. Fa la scoperta che sovente è consevato in una scatola di latta avvolto in una carta ingiallita e sudicia. Lo scrive ancora al Padre Generale il 10 febbraio 1885: “Vedo sotto l’altare, due o tre libri bruciacchiati, e le cui pagine, imbrattate di cera, sono diventate illeggibili. In mezzo ad essi noto una piccola scatola di latta, già usata per il cafè. Qual è stato il mio sgomento, Padre, quando aprendo la scatola, vidi il Pane consacrato ravvolto in un foglio di carta sporco ed unto. Sono caduto in ginocchio e non mi è stato possibile trattenere le lacrime”.
La fondazione delle Suore Eucaristine
Nell’attività missionaria si rese conto dell’importanza di presenze religiose nate sul posto, e così fondò con l’aiuto di sua sorella Eurosia, che lo raggiunse in Bulgaria, una congregazione di suore autoctone, cui diede il nome di Suore Eucaristine. Era il 1889. Da allora padre Alloatti si dedicò molto alla loro formazione. Preparò loro le Regole. Fece dell’obbedienza stretta il perno dell’unità tra le sorelle, quale segno storico e consequenziale della Presenza Eucaristica che esse adoravano. Le suore cominciarono a espandersi per la Macedonia a piccoli gruppi nelle varie comunità che presto cominciarono a formarsi. Le prime sei comunità “erano così strettamente legate tra loro che sembravano essere una cosa sola con la comunità madre”, annotava un testimone.
Da molti villaggi si chiedeva la presenza delle suore per tenere in ordine le chiese, per l’educazione dei bambini e per la catechesi degli adulti. Le parrocchie dove le suore lavoravano si trasformavano rapidamente. Per il piccolo numero di cattolici bulgari in Macedonia (si trattava solo di poche migliaia), sarebbe stato illusorio sperare in un ampio sviluppo dell’istituto: eppure in due decenni, fino alla vigilia della Grande Guerra le suore erano diventate 31 in 6 case. A Paliurtsi, dove c’era il noviziato, avevano un orfanotrofio con 36 bambine.
La situazione socio-politica non era però stabile. Negli anni 1912-1913 in Macedonia si assiste al risveglio dello spirito nazionale tra i Bulgari, i Serbi ed i Greci che si ribellarono alla dominazione turca (Guerre Balcaniche). La ribellione provocò un periodo di lotte sanguinose. Quando subito dopo scoppiò la Prima Gerra Mondiale, nel 1914, il conflitto si allargò e le armate dell’Intesa attraversarono lo Stretto dei Dardanelli, arrivando in Macedonia, il territorio si trovò tra due fuochi. Le suore si videro costrette a esulare verso il nord della Macedonia, a Skopje. Con la fine della Guerra, la permanenza delle suore a Skopje divenne insostenibile. Suor Eurosia era morta di stenti nel 1919. Le autorità serbe occuparono la loro casa. In questo scenario di grande insicurezza, nel 1920 padre Giuseppe, incoraggiato dal papa Benedetto XV, trasferì il piccolo resto della comunità a Sofia, capitale della Bulgaria. Qui in breve la comunità ricominciò una nuova vita, soprattutto quando nel 1925 venne in Bulgaria come delegato apostolico mons. Roncalli, futuro, papa Giovanni XXIII, che prese ben volere e ad aiutare la comunità. Intanto però Padre Alloatti si ammalò.
Ultimi giorni
Nel 1927 rientrò a Torino per curarsi. Dopo breve tempo il Padre Generale gli chiese di non rientrare in Bulgaria. Obbediente com’era accettò, soffrendo il distacco dalla terra che aveva amato e dalle suore che lo amavano. A Torino il suo fisico si indeboliva sempre più e fu trasferito a Chieri. Era la sua ultima purificazione. Entrato in un lungo silenzio, passava il suo tempo in adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Il 24 marzo 1933, vigilia della festa dell’Annunciazione, si sentì molto male. Verso sera il fratello Melchiorre gli amministrò i sacramenti e tre giorni dopo, il 27 marzo, spirò.
La sua figura e la sua personalità spirituale
“Era un missionario – scrive padre E. Cazot su Annales – nel vero senso della parola. Per molti anni, durante la sua missione nei villaggi della Macedonia, si trovò a vivere la sua attività apostolica in un modo che bisogna aver conosciuto questa esistenza per sapere ciò che essa rappresentava di sofferenza e di abnegazione. Io non so se un altro missionario abbia condotto una vita più eroica della sua. Era di una mortificazione straordinaria. … La sua pietà era pari alla sua mortificazione. E pur praticando uno stile austero di vita, padre Alloatti restò sempre un confratello affabile ed amabile”. Da vero vincenziano aveva un sentimento di abbandono assoluto nella Provvidenza. Il centro della sua vita interiore era l’Eucaristia. Padre Alloatti era molto laborioso. Ha lavorato molto e ha anche scritto molto.
Inizio della Causa di beatificazione
“Appurato che padre Alloatti – ha detto mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino il 16 giugno 2021, aprendo il processo di beatificazione – ha avuto e ha sempre più una grande fama di santità, riconoscendo come possa essere modello luminoso per la Famiglia Vincenziana e per la Chiesa tutta, e volendo accogliere la richiesta del postulatore. padre Giuseppe Guerra, si è provveduto a richiedere il nulla osta alla Congregazione della Causa dei Santi, che lo ha concesso in data 26 febbraio 2019. Ugualmente si è ottenuto il parere favorevole della Conferenza Episcopale Piemontese in data 2 marzo 2021”.
Lunedì, 12 luglio 2021, con la seconda e terza Sessione è proseguita l’Indagine diocesana per la sua Causa. Le sessioni si sono svolte nella Casa delle Figlie della Carità di San Salvario, dove l’Arcivescovo Mons. Cesare Nosiglia ha stabilito la sede del Tribunale. A San Salvario sono iniziate pertanto le audizioni dei testimoni. Ancor prima dei testimoni, i membri della Commissione Storica nominati dall’Arcivescovo (P. Luigi Mezzadri, P. Luigi Nuovo e Suor Maximiliana Nikolova Proykova), avevano prestato il giuramento di adempiere il loro compito con fedeltà e rettitudine.
P. Erminio ANTONELLO, CM