La cerimonia di beatificazione di Ján Havlík si terrà sabato 31 agosto 2024 nel Santuario nazionale, nella Basilica della Vergine Maria dei Sette Dolori a Šaštín. Ecco il programma ufficiale della celebrazione. In attesa di questo grande evento di grazia P. Marlio Nasayó Liévano, cm ci introduce nella vita del nostro Servo di Dio

Jan havlik beatificazione

 

Sugli altari della Congregazione della Missione, veneriamo missionari con il bastone pastorale, sacerdoti santificati nei corridoi e nelle aule dei seminari e sui sentieri missionari, e umili fratelli santificati come Marta nella vita missionaria nascosta. Tra loro, 64 figli del Signore di Paolo brillano con un’aureola propria. Ma c’era una nicchia vuota, quella dei seminaristi, che oggi, alla vigilia del 400° anniversario della “Piccola Compagnia”, è riempita da Jan Havrik.

Condusse una vita santa, eccellente nel canto, dotata nella parola, devota alla Madre Miracolosa, perseverante e amante della preghiera, sempre fedele alla sua vocazione cristiana e vincenziana in mezzo alla croce e alle persecuzioni.

Il 9 giugno 2013 è iniziata l’inchiesta diocesana sul suo martirio, il 30 marzo 2023 il Congresso dei Teologi ha approvato il suo martirio e il 14 dicembre dello stesso anno Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto di martirio, con la solenne beatificazione prevista per il 31 agosto 2024 a Šaštin (Slovacchia). Il rappresentante del Sommo Pontefice sarà il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi.

Il seme di Dio è germogliato nella fucina di famiglia.

Mi ispirano a iniziare la nostra riflessione le parole di Nostro Signore nel Vangelo secondo Matteo, 3:9, quando dice che “Dio è capace di fare dei figli di Abramo delle pietre”, e senza forzare il testo dice che se così fosse, quanto più li trarrebbe da una terra fertile e ben coltivata. Il nostro fratello Jan non è venuto da un campo sassoso e sterile, ma da una terra fertile e ben coltivata, come era la casa di Karol e Justina, ed è stato il primo e più straordinario frutto, che ha mostrato la via di Dio ai suoi tre fratelli che sono venuti dopo di lui.

Il Signore lo chiamò alla vita il 12 febbraio 1928, nella città di Vlčkovany (allora Cecoslovacchia), oggi Dubovce (Slovacchia). I suoi genitori avevano stipendi elementari: il padre era un impiegato statale e la madre un’infermiera, che lavorava anche in agricoltura per avere un reddito migliore. Lavoravano sodo e la preghiera in casa era assidua, quotidiana e fervente, con lo studio del catechismo, la recita del rosario e la partecipazione di tutta la famiglia all’Eucaristia domenicale.

È in un’atmosfera di amore, preghiera e sacrificio che si è forgiato il nostro futuro missionario. Frequenta la scuola secondaria nell’ancor più lontana città di Skalica, a 18 chilometri di distanza, una distanza che il giovane Havlík percorre a piedi o in bicicletta. È chiaro che il suo vigore giovanile gli servirà per approfondire la sua istruzione. Infatti, gli studi di Ján proseguirono ad alto livello, perché portati avanti con serietà e dedizione.

La vita vincenziana… il campo dove il seme piantato cresce, matura e porta frutto

San Vincenzo de’ Paoli nella conferenza del luglio 1642 (SV IX-1 88-90), parlando della prima Figlia della Carità, dice: “Margherita Naseau, di Suresnes, è la prima sorella che ha avuto la fortuna di mostrare la strada alle altre…” (SV IX-1 88-90). Nel nostro caso, emerge la figura di suor Modesta Havlíková, zia di Jan. In una parodia, possiamo dire che lei, l’amata zia, la Figlia della Carità, che un giorno incontrò il Signore nella lacuna vincenziana, e vivendo felice e realizzata in essa, riuscì in tutti i modi a far bere il nipote dall’acqua cristallina di cui godeva, mostrandogli la via di San Vincenzo.

Così, nel 1943, troviamo il nostro futuro santo nella Scuola Apostolica, e al termine della fase preliminare, nel 1949, nel Seminario Interno, diventando così membro della Congregazione della Missione a vita. È il giovane che, avendo ascoltato la voce del Signore, evangelizzatore dei poveri, lo segue nelle sue gioie giovanili, ma solidamente preparato a portare la croce della fedeltà e della dedizione per tutta la sua breve vita missionaria, una croce insospettata e non sognata, ma che ha portato senza vacillare quando gli si è presentata.

Molti di noi missionari hanno avuto la fortuna di avere Figlie della Carità, Missionarie Vincenziane o laici impegnati, che sono stati per noi una luce sul cammino della nostra incerta ricerca del Signore, che con il loro esempio, le loro parole e la loro compagnia ci hanno guidato e sostenuto nella perseveranza della vocazione missionaria vincenziana. Mavric, con quanta insistenza insiste sul fatto che dobbiamo impegnarci per il lavoro vocazionale e, se necessario, cercare il “nostro sostituto”, in modo che domani possiamo consegnargli la fiaccola della vocazione che abbiamo portato così bene. Come non pregare per le nostre vocazioni, come non sostenere coloro che bussano alle nostre porte o che incontriamo sotto il sole e la pioggia del lavoro missionario, come non incoraggiare coloro che si sentono deboli di cuore e vogliono guardare indietro… essere, in una parola, custodi delle nostre vocazioni?

Il carcere… campo di missione tra i poveri

P. Vinícius Augusto Teixeira, c.m., nel suo corposo articolo “Ján Havlík: la forza del desiderio”, ci dice:

“Tutti gli sforzi di Havlík erano rinvigoriti e animati dal desiderio di diventare ciò che il Signore lo chiamava ad essere. In un’occasione, sua sorella Maria ha ricordato ciò che sua madre le aveva raccontato sull’ardore missionario che aveva caratterizzato la giovinezza del suo primogenito: “

So da mia madre che Ján, ai tempi del noviziato, voleva diventare missionario e andare in Russia per insegnare il cristianesimo ai figli di Stalin”.

Anche un compagno di scuola fa riferimento alle aspirazioni apostoliche del giovane Havlík:

“I suoi compagni di classe di allora sapevano già che voleva diventare sacerdote e andare all’estero come missionario. Questi ideali giovanili non sono il frutto di un cuore avventuroso, ma il risultato di un’anima maturata in Dio e per Dio, come egli esprime nei suoi scritti: “Non c’è dono più grande che donarsi incondizionatamente a Dio”.

Ma il nostro seminarista si rese presto conto che essere missionario non era più possibile sulle alte catene montuose della Russia o sulle sue montagne ghiacciate, ma nelle miniere di uranio e nelle buie prigioni comuniste. E perché? Semplicemente, nella sua patria si era instaurato il regime comunista e Jan, nella sua fedeltà a Dio e alla Chiesa, non voleva rinunciare alla sua vocazione. Nelle prigioni e nei sotterranei c’era il suo campo missionario. Lì era stato piantato dal Signore, e lì c’era lo spazio per farlo fiorire e portare frutti abbondanti. Giustamente ci dice:

“Il compito dei Missionari non è forse quello di aiutare coloro che sono stati gettati nelle macerie della società? Se ci danno 10-15 anni di prigione, non possiamo parlare di provvisorietà e pensare: studierò più tardi, lavorerò più tardi per il Regno di Dio. Ne hanno bisogno adesso, anche se sono deboli. Ne hanno bisogno tutti i prigionieri, i disperati, gli ignoranti, gli apatici, gli assassini e i criminali. Manifestate ora ciò che è dentro di voi, se siete seriamente intenzionati a svolgere la missione che avete sognato fin da giovani. Mi sento come nelle missioni. Non potrei immaginare un campo di lavoro migliore e più impegnativo. Dobbiamo far sapere a tutti che il nostro amore è Cristo. A tutte le migliaia di prigionieri di Jáchymov, Příbram, Slavkov…. È un programma per tutta la nostra vita. Mettere l’amore negli affari di Stato, nelle famiglie, nelle comunità, nelle scuole, negli uffici… portare l’amore in tutte le nostre azioni.

E questo fu il pulpito missionario di questo giovane, con la sua sconfinata fedeltà a Dio, alla Chiesa, alla Congregazione della Missione, ai poveri: la sua testimonianza resiliente, la gioia della sua dedizione, il lavoro sacrificale, la recita del rosario e la catechesi con i suoi compagni di cella, furono il campo missionario in cui Jan realizzò la sua vocazione e missione. Furono esattamente 11 anni di isolamento e umiliazione (1951 – 29 ottobre 1962). Quando fu liberato, continuò la sua missione nel calore della sua famiglia, facendo del bene all’interno e all’esterno della sua famiglia, fino a quando il Signore lo prese dalla sua culla per cantare con lui in eterno i canti di Natale, “nella missione del cielo”, il 27 dicembre 1965.

E la quercia piantata accanto al fosso di Dio… non è caduta… è morta in piedi.

E guardiamo alla fine gloriosa del nostro Beato Havrik, citando padre Teixeira:

“Dopo un malessere più intenso la sera del 26, sembrava che i problemi di salute gli avessero dato tregua e disse al padre che avrebbe voluto trovare un lavoro per poter contribuire al sostentamento della famiglia. Il 27 dicembre 1965 Ján prese un autobus per andare dal medico nel vicino villaggio di Popudiny. Da lì andò a Skalica, portando con sé una radio per farla riparare. Poi si recava in ospedale per gli esami e, se necessario, per il ricovero. Se fosse stato ancora possibile, sarebbe andato a trovare suo fratello Anton, che viveva in città, per trascorrere con lui la notte di Capodanno. Tuttavia, quello sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita terrena. Appena arrivato in città, mentre camminava per strada, proprio mentre si trovava davanti alla casa di un medico, si sentì male e si appoggiò a un bidone della spazzatura. Accortosi delle condizioni del giovane, il medico accorse per aiutarlo, ma senza successo. Il cuore debole di Ján Havlík aveva già smesso di battere. Il medico lo portò a casa con l’aiuto di un passante per prestargli l’ultimo soccorso. Non conosceva Ján, ma sua moglie sì. Come infermiera, lo aveva accolto in ospedale durante uno dei suoi numerosi ricoveri e ne ricordava la serenità e la gentilezza.”

Nel silenzio, nella preghiera e nella meditazione nella sua cella, questa lezione del Fondatore, che aveva letto nel Seminario interno, gli è tornata sicuramente in mente più di una volta. Poteva il nostro martire immaginare che questo testo si sarebbe realizzato alla lettera in lui?

“Doniamoci a Dio, padri, per andare in tutta la terra a portare il suo santo Vangelo; e ovunque Egli ci collochi, sappiamo mantenere il nostro posto e le nostre pratiche fino a quando la sua divina volontà non ci farà ripartire. Non lasciamoci trascinare dalle difficoltà: è per la gloria dell’eterno Padre e per l’efficacia della parola e della passione di suo Figlio. La salvezza dei popoli e la nostra stessa salvezza sono un beneficio così grande che valgono ogni sforzo, a qualsiasi costo; non importa se moriremo per primi, purché con le armi in pugno; saremo allora più felici e la compagnia non sarà più povera, perché “sanguis martyrum semen est christianorum”. Per un missionario che ha dato la vita nella carità, la bontà di Dio ne susciterà molti altri che faranno il bene che il primo ha mancato di fare” (S.V., XI/3, 290).

E con il proverbio cinese concludiamo: “È meglio accendere una candela che maledire l’oscurità”

  • La preghiera di Jan, accanto al Signore nella dimora celeste, è stata ascoltata: lui non poteva fisicamente andare a “insegnare il cristianesimo ai figli di Stalin”… i suoi confratelli sì, quando con coraggio motivato da P. Maloney sono andati in diverse regioni, raggiungendo l’Ucraina, la Russia e la Bielorussia, dove lui è penetrato con la sua preghiera e la sua sofferenza, continuandovi con tenacia ed eroismo evangelico. Ma altri, non pochi eroici vincenziani, sono andati in altre parti del mondo per portare il Vangelo di Gesù ai poveri. La loro beatificazione dovrebbe essere per giovani e meno giovani un incoraggiamento a continuare la battaglia senza esitazioni e con forza, fino all’ultimo respiro della vita.
  • Se Jan è un modello di vincenziano, lo è soprattutto per i giovani dei nostri collegi, scuole e seminari. Per loro non ci sono più scuse per seguire il Signore, c’è un punto di riferimento attuale, giovane, contemporaneo, e un feroce annunciatore del Vangelo, che cerca di coltivare una coscienza retta, illuminata dalla fede, capace di educare i loro desideri e di indirizzarli nella direzione di ciò che è vero, buono e bello, secondo la volontà di Dio.
  • Di fronte alla cultura del fugace, del liquido e dell’effimero, siamo chiamati a perseverare nel bene, nelle ricerche più sincere e nella fedeltà alla vocazione missionaria e vincenziana, anche in mezzo alle avversità e alle prove.
  • Il nuovo Beato Jan Havrik ci pone alle porte del nostro quarto centenario, come sentinelle del tesoro della Società che abbiamo ricevuto, e di essere più audaci nella vita spirituale, più creativi nel compiere la nostra missione, più generosi nella missione, aprendo nuove strade che portino noi e i nostri fratelli davanti al Signore.

Che gioia sapere che, come missionari, siamo piccole luci davanti al Tabernacolo e ai nostri fratelli e sorelle, che spendiamo con gioia, fino all’ultima goccia d’olio delle lampade della nostra vita davanti a Lui e ai poveri!

 Marlio Nasayó Liévano, cm