In una giornata storica per la Chiesa argentina, Santiago del Estero è stata ufficialmente elevata ad Arcidiocesi e sede del Primato della Repubblica Argentina. Nell’omelia, si riflette sull’importanza di questo evento per la comunità cattolica e si richiama l’esempio di Gesù nella sua missione universale di guarigione e inclusione. Scopri di più sull’emozionante celebrazione e sul nuovo ruolo di Santiago come “Madre delle diocesi” del Paese

Santiago terra benedetta. Madre delle diocesi della nostra patria

 

Il nostro Provvidente Dio Padre ha i suoi piani e le sue vie. Al nostro buon Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo rendiamo grazie per averci donato questo giorno storico per la nostra amata Santiago del Estero, così pieno di gioia, di incontri, di memoria degli eventi fondanti della nostra Chiesa e di rinnovata speranza guardando al futuro.

Da qui, Madre delle Città e Madre delle Diocesi, desideriamo esprimere la nostra più sentita gratitudine a Sua Santità, Papa Francesco – attualmente impegnato in un viaggio molto esteso in Asia e Oceania – che, dopo un serio e profondo studio e dopo aver ricevuto il parere del corrispondente Dicastero, che ha richiesto diversi anni, ha deciso di elevare la nostra diocesi ad Arcidiocesi e Primate della Repubblica Argentina.

Il Vangelo proclamato ci racconta la guarigione di un sordomuto nel territorio della Decapoli (un gruppo di dieci città, una confederazione di città indipendenti a est del Giordano). Erano terre lontane, terre di “stranieri”, terre di pagani, disprezzate dai Giudei di allora. Per quel giudaismo, il mondo pagano era perduto per Dio.  Ma Gesù supera questi principi e va oltre: tocca i sordomuti. Gesù annuncia così la sua missione universale, una missione che trascende i limiti che noi uomini generalmente ci costruiamo. Gesù dispiega la sua potenza salvifica, rendendo operativo il Regno della grazia e della vita, in mezzo ai poveri, rappresentati in questo caso dal sordomuto. In mezzo a un mondo dominato dalla malattia, dalla miseria e dall’emarginazione, un mondo schiavo, ma bisognoso di redenzione e di liberazione, Gesù va avanti e va da loro. È qualcosa di abituale e programmatico nella sua vita, poiché è il Dio che va incontro a ciascuno dei suoi figli.

Forse possiamo trovare una similitudine con la nostra celebrazione, in cui si rende effettiva la Bolla del Papa, con la quale la sede delMONS. VICENTE BOKALIČ IGLIC, C.M Primer Arzobispo de la Arquidiócesis de Santiago del Estero - Argentina Primato viene trasferita dalla Capitale della Repubblica Argentina a un luogo lontano, nell’entroterra come siamo soliti dire. Anche la Chiesa, sollecitata dall’esempio e dallo stile di Gesù, sente permanentemente la chiamata a uscire alle frontiere, a lasciare luoghi comodi, di una certa agiatezza, di maggiori opportunità, e ad andare in luoghi più lontani, possiamo anche dire evitati, dove si approfondisce il senso della vita e della fede minacciata. Questi erano Nazareth, Tiro e Sidone, la Galilea.

Gesù tocca e guarisce quest’uomo sordo e muto che gli viene presentato dai suoi compaesani. Questa sordità è una figura della sordità del popolo di Israele che non vuole ascoltare il suo Dio. Il Messia è inviato per guarire, per “aprire” (cioè Effatah) le orecchie, sciogliere la lingua e illuminare il cuore e la mente. Questo è il tipo di sordità che nasce dal cuore umano.  Gesù tocca i malati come segno di vicinanza, compassione e misericordia.

La guarigione è più di un difetto fisico, corporeo, è un simbolo, la mancanza di volontà di ascoltare. Ascoltare per parlare.  Continuando con questo simbolismo, oggi potremmo affermare che i “sordomuti” continuano a esistere nell’incomunicabilità. L’incomunicabilità è una delle miserie del nostro tempo, che sembra accentuarsi come conseguenza diretta del progresso della civiltà. Ed è proprio a casa che impariamo a comunicare. Con i nostri genitori e fratelli. Ed è proprio in famiglia che compare la figura materna, come promotrice di incontro, dialogo, ascolto, attenzione e cura.

Nella comunicazione congiunta con l’Arcivescovo di Buenos Aires del 22 luglio abbiamo detto che la Chiesa di Santiago diventa la Madre delle Diocesi della Patria. Madre delle città, madre delle diocesi. Sembra che Santiago sia segnata da questo “carattere materno”.

“Una Chiesa che è madre cammina sul sentiero della tenerezza. Conosce il linguaggio di tanta sapienza delle carezze, del silenzio, dello sguardo che conosce la compassione, che conosce il silenzio. E allo stesso modo, un’anima, una persona che vive questa appartenenza alla Chiesa, sapendo che è anche madre, deve seguire lo stesso percorso: una persona docile, tenera, sorridente e piena di amore”. Come Chiesa “siamo segnati dal nostro carattere di privilegiare “la cura della vita, di ogni vita, ma soprattutto di quella più delicata e bisognosa di assistenza”.  Essere madre è saper ascoltare, riunirsi a tavola, ricreare la comunione dopo le distanze, creare un clima di armonia e di rispetto, aspettare sempre il figlio che è lontano, sapergli essere vicino nella sofferenza e nella malattia. Saper rispettare senza invadere. Mettere radici e dare ali. Il carattere materno della Chiesa ci avvicina alla gioia, all’incontro, alla comunione, a imparare a essere e a vivere la fraternità, a essere sempre pronti ad accogliere un fratello “imprevisto”, a prendersi cura del dolore dell’altro, a sacrificarsi e a mettere da parte il proprio per rendere felice l’altro, a essere presenti, quanto è importante essere presenti per un bambino!

In questo senso, l’evento di oggi ci impegna ad accrescere lo spirito di ospitalità: “apri la porta ed entra nella mia casa”.  È la caratteristica del popolo di Santiago de Compostela che ha le porte aperte, come il nostro popolo che si rallegra della visita degli altri e soprattutto dei bambini che tornano nelle loro case.  In un Paese ferito da disaccordi, risentimenti e spaccature, siamo chiamati a contribuire a una convivenza fraterna in cui tutti abbiano un posto. Dove nessuno sia escluso. E dove si soffre per l’assenza degli altri, perché tutti siamo invitati al banchetto.

Abbiamo ricevuto il titolo onorifico di “Chiesa primate” perché qui è iniziata l’evangelizzazione ed è stata creata la prima struttura ecclesiastica, una diocesi.  Contemporaneamente alla fondazione della città, arrivarono i primi missionari con il profondo desiderio di trasmettere la Buona Novella della Salvezza alle popolazioni autoctone della nostra terra. Guardando al passato, dobbiamo riconoscere i grandi ordini religiosi – ancora oggi presenti – che hanno gettato le fondamenta della Chiesa.

Così come nel 1500 arrivò la Buona Novella del Regno di Gesù, in quest’ora felice per la nostra Chiesa siamo chiamati a “primeggiare” nella Missione. “Primerear”: scusate questo neologismo. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha fatta diventare prima nell’amore (cfr. 1 Gv 4,10); e così sa andare avanti, prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare chi è lontano e andare ai crocicchi per invitare chi è escluso. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più andare per primi”. EG 24 Essere consapevoli di essere nati dalla Missione deve essere la nostra missione a nord come stile di vita permanente.

Alla scuola di Gesù “essere il primo” significa essere il servo di tutti. Essere primi non significa essere superiori, migliori e al di sopra degli altri. Il primo di cui parliamo è l’iniziale, il nascente. Nascente: che bella parola. Papa Francesco ha detto: “Nei primi secoli della Chiesa una cosa era molto chiara: la Chiesa, essendo la madre dei cristiani, mentre fa i cristiani, è anche fatta da loro”.

MONS. VICENTE BOKALIČ IGLIC, C.M Primer Arzobispo de la Arquidiócesis de Santiago del Estero - Argentina 2Chi vuole essere il primo deve essere l’ultimo, e l’atteggiamento di servizio che meglio riflette questa realtà di Gesù e della Chiesa serva è quello di chinarsi a lavare i piedi dei fratelli e delle sorelle come Gesù nell’ora della Passione. Sono tutte icone che ci motivano di fronte a questo dono che Francesco ci ha fatto.  Come Chiesa primate per le nostre origini, siamo chiamati a costruire una Chiesa madre, samaritana, serva, vicina e cordiale, ospitale, sempre con le porte aperte per tutti, creando ponti di incontro, ascolto e dialogo, una Chiesa in cui impariamo il linguaggio del perdono per risanare i legami spezzati, promuovendo tutte le iniziative che danno dignità ai fratelli e alle sorelle. Insieme alle Chiese sorelle, possiamo essere segni di speranza in mezzo a tanto scoraggiamento, stanchezza e perdita di senso. È la responsabilità del nostro tempo: a partire dalla nostra condizione di Chiesa che è prima di tutto servizio e da un amore che si rende efficace attraverso le opere di carità.

 

 

MONS. VICENTE BOKALIČ IGLIC, C.M.
Primo arcivescovo dell’arcidiocesi di
Santiago del Estero – Argentina