Quarta Parte
I RITI INIZIALI
Introduzione
Con il Motu proprio Desiderio Desideravi Papa Francesco ha riproposto lo studio dell’ars celebrandi rimettendo in discussione modelli di presidenza che risentono di esasperata creatività o rigidità, in cui si evidenzia una forma di personalismo, dove il prete tende a sostituirsi, come presenza centrale, a quella del Risorto. Un tale limite patologico crea un grande disagio nell’assemblea celebrante perché tarpa le ali all’actuosa partecipatio. Si tratta di quelle situazioni in cui il prete pensa di essere il padrone della Messa che presiede[1]. È il caso in cui un prete dimentica, oppure non lo ha mai saputo, perché in seminario ha avuto una formazione liturgica insufficiente. L’esempio è quello dei preti giovani tradizionalisti a cui è mancata una formazione teologica alla luce dei documenti del Vaticano II, studiando i quali avrebbero scoperto che l’ars celebrandi (AC) per sua natura è inserita in due aspetti della teologia del Vaticano II: in primo luogo nella teologia di comunione di L.G,, ma anche nella teologia liturgica di S.C. Richiamare questi aspetti ritengo sia fondamentale per cogliere il tema della situazione.
A tal proposito vorrei proporvi due testi liturgici: si tratta degli impegni che i presbiteri assumono durante la liturgia della loro Ordinazione e anche quelli che accompagnano la consegna del pane e del vino. Infatti, il vescovo proferisce le seguenti parole: volete celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa specialmente del sacrificio eucaristico nel sacramento della riconciliazione a lode di Dio e per la salvezza del popolo? (Ordinazione del Vescovo dei Presbiteri e dei Diaconi, (=OVPD) Roma, 1992 n.137).
E quando ha consegnato all’ordinato le offerte del pane e del vino ha detto: ricevi le offerte del popolo santo, per il sacrificio eucaristico, renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore. (OVPD 181).
In queste due espressioni, tratte dal Rito di Ordinazione del vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi si sottolineano tre verbi che rendono e che possono rappresentare la scansione dell’AC: conoscere, celebrare, imitare. Questi tre verbi sono le premesse al tema dei Riti di introduzione.
CONOSCERE: l’AC ci ricorda l’importanza della conoscenza, della teologica liturgica.
CELEBRARE: stare nelle sequenze rituali, fedeli a ciò che si celebra (che il rito media) al chi celebra (la tipologia di assemblea che di volta in volta si raduna) al come si celebra (gesti, parole, spazi, tempi, attori e cose, suoni e profumi, emozioni e sensi). Ricordo: LA MESSA NON Ѐ PROPRIETA’ DEL PRETE.
IMITARE: l’azione celebrativa plasma la vita e il ministero del presbitero. L’anamnesi liturgica diventa mimesi esistenziale. Cioè, il ricordo dell’esempio di Cristo servo (anamnesi) che diventa mimesi (imitazione)[2].
Riti d’Introduzione
La composizione dei riti d’introduzione.
I riti che precedono la Liturgia della Parola Cioè l’antifona d’ingresso, il saluto, l’atto penitenziale, il kyrie eleison, il Gloria e l’orazione (o colletta) hanno un carattere di inizio di introduzione e di preparazione (OGMR 46/a).
Lo scopo dei riti d’introduzione.
Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia. (OGMR 46/b).
Il senso mistagogico dei riti d’introduzione.
Quando il popolo si è radunato[3], mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono ed i ministri, si inizia il canto d’ingresso (OGMR 47/a). Si tratta di una duplice fase di movimento e canto che coinvolge tutta l’assemblea e tutto lo spazio. Questa copre lo spazio dalla porta della sacrestia alla mensa.
Nella forma più solenne il Messale Romano prevede la processione introitale così composta: il turiferario con il turibolo e la navicella; il crocifero e due accoliti con le candele; un diacono o, in sua assenza, un lettore che porti solennemente l’evangeliario. Seguono i vari ministri che, in presbiterio, occuperanno ciascuno il posto che è stato loro assegnato.
Dal punto di vista mistagogico l’introito si presta ad una triplice lettura: cristologica, ecclesiologica ed escatologica.
Lettura mistagogica come possiamo leggere i riti d’introduzione. In questo incedere verso l’altare possiamo cogliere tre sfumature differenziate:
la prima sfumatura è sicuramente quella dell’Introito (o antifona d’ingresso) che è quella cristologica: la presenza di Cristo in mezzo all’assemblea, che rimanda all’ingresso di Cristo nella storia; all’entrata di Cristo in Gerusalemme; alla presenza di Cristo in mezzo ai suoi.
La seconda sfumatura è quella di una lettura ecclesiologica, perché sin dall’inizio l’introito rivela una comunità cristiana riunita e articolata nei diversi carismi e ministeri (cfr. N. CABASILLAS, Commento alla divina liturgia).
Anche l’incedere processionale prevede una scansione e una gradualità dei ministeri.
L’incedere verso l’altare ci rimanda alla dimensione escatologica: il cammino peregrinante nel tempo della Chiesa verso la Gerusalemme celeste.
a) Il canto introitale.
Il canto introitale dà inizio alla celebrazione e deve essere in sintonia con il Tempo Liturgico, con l’atto celebrativo, la capacità del coro di accompagnare la processione introitale e favorire l’unione dell’assemblea celebrante. Il canto d’ingresso dovrebbe avere tessitura musicale una sintonia con l’incedere della processione introitale (OGMR 47/b).
Non si può cantare all’ingresso un canto mariano, oppure un canto che non esprima il momento che l’assemblea celebra[4].
b) Il saluto alla mensa.
L’altro elemento dei riti d’introduzione è il saluto alla mensa. I gesti che compongono questo elemento sono legati alla semantica dell’altare: come segno di Cristo; ara del sacrificio; mensa del convito; centro dell’azione di grazie.
L’inchino profondo.
L’inchino termina con un primo gesto di venerazione da parte di tutti coloro che hanno preso parte alla processione introitale.
Giunti in presbiterio il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l’altare con un profondo inchino (OGMR 49/a). Siamo di fronte ad una eminenza cristica.
2. Il Bacio. (OGMR 49/b)
Il secondo gesto di venerazione è il bacio che indica la relazionalità, l’affetto, la nuzialità (C. VALENZIANO, L’anello della sposa, Qiqajon, Magnano (VC), 1993.), la sponsalità. Si può ripensare al primo bacio che il vescovo diede all’altare nel giorno della consacrazione di esso.
3. L’incensazione esprime la riverenza, e la preghiera come è indicato nella Sacra Scrittura. (cfr. Sal. 140,2; Ap 8,3). OGMR 276.
c) Il saluto all’assemblea.
Il saluto liturgico all’assemblea ci rimanda alla dimensione del protagonismo: popolo di Dio radunato nel nome di Cristo nello Spirito. La sintesi del mistero trinitario che si realizza in Cristo (OGMR 50).
Questo ci rivela la presenza del Risorto. Cristo si rende compagno, spiega la parola e condivide il pane. Scompare alla vista ed è presenza altra.
La brevissima introduzione deve essere preparata e non deve essere una breve omelia (OGMR 51).
d) L’atto penitenziale è personale e comunitario. L’assoluzione non è sacramentaria. Le formule si scelgono con .una debita preparazione, tenendo conto del Tempo liturgico (OGMR 51).
e) Il Gloria è un inno di antica tradizione alla gloria di Dio. Il Gloria è un inno che andrebbe rispettato nella sua forma originale. In alcune forme si presta in una forma alternata tra scola ed assemblea. Non può essere sostituito da un altro canto. (OGMR 53).
f) La Colletta è una preghiera che colui che presiede compie a nome di tutti. Conferisce il carattere alla celebrazione, alla teologia del tempo liturgico o del santorale.
La sua struttura è quella della invocazione iniziale rivolta al Padre, o in memoria di un evento di salvezza, con lo scopo dell’orazione. È una composizione lineare che va rispettata, così come quella rituale.
Conclusione
Quattro regole d’oro:
- Studiare i libri liturgici e preparare i testi eucologici prima dell’actio liturgica.
- Preparare la celebrazione considerando la sensibilità e le attitudini dell’assemblea, del presidente e dei ministri, salvaguardando la pertinenza della liturgia e senza lasciare nulla all’improvvisazione.
- Celebrare con arte ponendo gesti e parole del rito in modo adeguato, valorizzando tutta la ricchezza del linguaggio e favorendo l’ars celebrandi e l’actuosa partecipatio di tutta l’assemblea.
- Vivere nel quotidiano quanto si celebra nella liturgia.
Nella quinta parte tratteremo la liturgia della Parola.
Di p. Giorgio Bontempi C.M.
[1] Mi riferisco a casi in cui in una celebrazione c’è il diacono che, se manca un altro lettore idoneo, il diacono, oltre al vangelo, proclami anche le altre letture (OGMR 176); Alla Liturgia Eucaristica: mentre il sacerdote rimane alla sede, il diacono prepara l’altare (…) , spetta a lui la cura dei vasi sacri (…). Presenta al sacerdote la patena con il pane da consacrare, versa il vino e un po’ d’acqua nel calice (…) e lo presenta al sacerdote. Questa preparazione la può fare alla credenza (OGMR178).
[2] Ricordiamoci che se celebriamo la liturgia come una delle tante cose da fare, siccome non è magia, non solo non ci aiuta a vivere il nostro battesimo, ma ci allontana dal seguire il Signore. Si comprendono tanti atteggiamenti…..
[3] È chiaro come la mistagogia faccia notare come è l’assemblea il soggetto celebrante. OGMR invita i preti a non celebrare da soli (OGMR 253).
[4] Il canto costituisce la modalità di espressione dell’assemblea nel vivere il momento celebrato. Ecco perché la scelta dei canti deve essere fatta con cura. Non si canta perché si deve cantare…..! Ma si canta per esprimere ciò che si celebra e per vivere ciò che si è celebrato.