L’autore  di questo articolo fa riferimento al carisma vincenziano. Da  molto tempo, sono convinto che ogni  carisma autentico riguarda solo la persona. Per  appropriazione può essere attribuito ad una Istituzione come nel caso della Congregazione della Missione e per estensione ad  un insieme di Istituzioni che vivono dello stesso spirito, come nel caso della  Famiglia Vincenziana. Ma all’inizio  di questa catena non vedo che testimoni, il primo dei quali è San Vincenzo de Paoli. Nessuno è stato in grado e non lo sarà mai di penetrare nel più intimo del suo essere. Ma attraverso testimonianze ricevute dalla tradizione sin  dal 1581 – i suoi scritti, i suoi biografi, la riflessione collettiva – vediamo meglio oggi cosa può costituire la sua eredità. Per essere missionario secondo lo spirito di San Vincenzo, è bene sottolineare ciò che egli ha vissuto nella sua personale  scoperta di Cristo fino a formare  con lui un solo essere.

Vincent è nato cristiano, una cosa ovvia , per l’epoca. Viene battezzato lo stesso giorno della sua nascita.. A Ranquines si vive da cristiani, la sera e la mattina si saluta Dio in famiglia, si cresce sotto il Suo  sguardo, si riceve il sacerdote e i primi rudimenti della fede. Questo è senza dubbio costitutivo. Nello  stesso modo, riceve una vocazione sacerdotale possibile con gli studi necessari a tale scopo. Ha ricevuto l’ordinazione nel 1600. Durante questo periodo, nasce  un incontro personale con Gesù, si affina, si trasforma Un segno forte quando , spinto da una crisi spirituale, ne  esce dall’alto e “ si decise,un giorno di prendere una ferma e inviolabile decisione  per onorare di più Gesù Cristo e di imitarlo più perfettamente di come aveva fatto fino ad allora e cioè di dedicare tutta la sua vita ,per Suo amore, al servizio dei poveri”.Abelly III,118,119. Cap.XI. La frase è chiara ma sotto queste  parole si nasconde  un’intensa esperienza spirituale.

 

Dal mio punto di vista, questo è il segno che il vero incontro si è realizzato. Indipendentemente dal tempo, la cosa essenziale per quest’uomo è che sia legato a Gesù con un impegno per la vita, per onorarlo come Dio, servendolo nel migliore dei modi  e fedelmente, nei poveri. D’ora in poi, questa è la prospettiva unica della ricerca della santità. Egli vive, agisce, prega, crea “seguendo Cristo”, secondo il principio unico e determinante dell’imitazione. Lo riconosce come motore della sua vita. E quando immagina la Congregazione della Missione, l’obiettivo finale che dà alla sua fondazione è “seguire Cristo, evangelizzatore dei poveri”. Tutto è articolato secondo questo desiderio, l’attività apostolica, la donazione, la preghiera, la fraternità … Cerca di situarsi permanentemente in una sorta di andirivieni tra Vangelo e vita, contemplazione e azione, preghiera e impegni, risorse e opere, Eucaristia e servizi. Non lascia mai Dio da quando vede e sa che Dio ha fatto uomo è l’uomo diventato povero. Vede costantemente Gesù Cristo in ogni persona in difficoltà qualunque sia la natura di questa carenza spesso degradante.

Come non vedere il Missionario sempre in una tale ricerca? Anche lui vuole imitare il Maestro. Anche lui è chiamato ad essere un “discepolo missionario”. Anche lui si proietta più vicino a Cristo. Esperienza fatta (bene

e male!) Mi auguro, nello spirito delle Regole comuni,delle azioni, uno spirito, un clima essenziale per penetrare nel cuore di Cristo.

Azioni che considero fondamentali:
– e dapprima , questa immersione mattiniera, saltando giù dal letto, nella  meditazione. Quest’ora di preghiera iniziata con  una  mezz’ora insieme, è l’assestamento della giornata. La negligenza che può insinuarsi molto rapidamente o la scusa sempre disponibile sotto false pretese, prova che “nulla va più bene ” quando questa ora benedetta viene omessa. Oggi c’è urgenza! Questo mettersi  alla presenza di Dio, questa riflessione ,sotto il suo sguardo,sull’esigenza evangelica, questa ricerca del legame con la mia vita apostolica del momento, questa determinazione su un punto concreto di cui verifico l’applicazione nei tempi stabiliti, mi aiuta fortemente a vivere la mia vocazione quotidiana La risoluzione, questo punto concreto e saliente della mia giornata, è il segno di un’orazione compiuta. Senza la preghiera che conduce alla verifica, mi prosciugo; con una preghiera produttiva, sono come l’albero sempre fecondo. Questo sbocco è necessario per una preghiera riuscita.

– E vivo della Parola di Dio, che posta al centro della mia vita battezzata, è sopraelevata  dalla mia vocazione missionaria. Nulla di solido senza la roccia che essa rappresenta e che non è altro che Cristo stesso. E’ la Parola  che può nutrire la mia preghiera ma che diventa  come elisir della mia vita quando è  lectio divina. I metodi si moltiplicano  ma l’essenziale è convincersi che questa Parola è tanto per me che per gli altri, un seme di frutti nutrienti. E tutta la predicazione più fertile è radicata in essa. Papa Francesco istituisce al momento giusto, “una domenica della Parola” di Dio, logica continuazione delle sue linee della  “Gaudium Evangeli”

 

– L’Eucaristia è il luogo per eccellenza in cui la Parola dà ancora vita e forza. Celebrarla è vitale ed è il vertice della nostra vita e della nostra missione, della nostra giornata. Celebrarla con l’Assemblea ci aiuta a “fare chiesa” e a centrare la nostra vita di preghiera su Cristo dato come cibo di crescita per la moltitudine. Evito qualsiasi dissertazione su di essa. Ad essa, sono legate tutte le altre nostre pratiche spirituali ,non opzionali. Il motto è “fedeltà”.

 

Lo spirito che anima questi momenti salienti è quello della Missione. Non mi è mai piaciuto ridurlo alle cinque virtù fondamentali. Anche se ne costituiscono una buona parte, sono sopraffatte da tutto un insieme  animato dalle persone della Trinità che ne è la fonte. Tutto viene da lì. Il Padre ci chiama, Cristo ci modella, lo Spirito ci anima. È con questa dedizione che realizziamo, giorno dopo giorno, ciò che Dio si aspetta da noi e che al ritmo della Provvidenza, serviamo ed evangelizziamo, i poveri di questo mondo. Portiamo così alla perfezione la nostra vocazione battesimale e, se siamo sacerdoti, la nostra condizione sacerdotale. Tutti dati a Dio e ai poveri, secondo le  parole  consegnateci, agiamo come appassionati del Regno. Tale è la mia esperienza, per quanto imperfetta, tale è la mia fede.

 

Resta da definire il clima in cui agiamo, il modo fraterno. Siamo operai evangelici che lavorano, non isolati, non anticonformisti, ma insieme. Condizione sine qua non, ambiente naturale e ordinario dell’attuazione di questo carisma vincenziano. Non lo si può vivere diversamente. È il frutto di una squadra, della comunità, della fraternità assunta di giorno in giorno, instancabilmente. Tale è il mezzo privilegiato per una missione efficace. Sono felice, alla fine dei miei anni, di aver vissuto in questo modo e auguro felicità a tutti i fratelli. Per quanto riguarda coloro che si lamenterebbero sotto il peso di un fardello considerato troppo pesante, consiglierei un consulto medico.

Si mormora  qua e là che la Congregazione soffre di alcuni focolai di febbre. Al di là di ogni malizia o strizzatina d’occhio, illuminata dalle “malattie della Curia” e riflettendo  con altri, sullo stato precario e inevitabilmente sulla ricerca del rimedio migliore, sono propenso  a pensare che l’unica via di guarigione sia spirituale. Non può essere che tutto non vada meglio se Gesù Cristo interferisce.

Jean-Pierre Renouard

27 septembre 2019